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la prima fatica ch io feci per finir d esser povero.
Ciò non inteso da poco pratici del mestier di compor-
re, fa, che incontrando su le prime sterili i pensieri, secca
la vena, e povero di concetti l ingegno, s impazientino, e
o sè come inabili a riuscire condannino, o l arte come
troppo malagevole ad apprendersi abbandonino. Non si
raccordano, che dalle tenebre della notte alla luce chia-
rissima del meriggio non si fa inimediatamente passag-
gio. Vanno inanzi i primi chiarori, che sono poca luce
stemperata con molta caligine; indi l Alba men fosca,
che su l orlo dell Orizzonte biancheggia; poscia l Auro-
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ra più ricca di luce, più carica di colore; e finalmente il
Sole: ma questo, nello spuntare sul nostro emisfero, tor-
bido e vaporoso, obliquo, debile, e tremante, che dall
Orizzonte (come chi astento s aggrappa per iscoscesa
pendice) a poco a poco fino alle e, ime del cielo sormon-
ta. Non sovvien loro, che uomo non s è prima d esser
bambino, nè abile al corso prima, d essere ito carponi
per terra, portando su le mal ferme gambe e sa le tenere
braccia la vita vacillante e cadente ad ogni passo: nè spe-
dito di favella, prima d avere avuto in bocca il silenzio,
poscia i vagiti, indi una lingua scilinguata e balbettante,
con voci di mezzate e storpie, sino a scolpire con fatica
babbo e mamma; e questo, prendendo di bocca altrui ad
una ad una una le sillabe e le voci, e rendendone, come l
eco, i pezzi, più imitando l altrui favella che favellando.
I grandi uomini non si fanno di getto, come le statue
di bronzo, che in un momento bell è intere si formano;
anzi si lavorano come i marmi a punta di scarpello e a
poco a poco. Gli Apelli, i Zeusi, i Parrasj, que gran
maestri del disegno, alle cui pitture non si potea dire che
mancasse l anima per parer vive, perche sapevano parer
vive ancora senza anima, quando cominciarono a ma-
neggiare i pennelli e stendere i colori, credete voi che
non dessero a cinquanta per cento le botte false, e che i
loro lavori non avessero di bisogno che vi si scrivesse al
piè, di cui fossero quelle imagini, acciochè un Lione non
fosse creduto esser un Cane? La ntura istessa, che pur
è sì grande artefice, e maestra d ogni più eccellente fat-
tura, parve a Plinio, che inanzi d applicarsi al lavorio
de Gigli, opera di gran magistero, s addestrasse con
farne quasi l abbozzamento e  l modello ne Convolvi,
fioretti candidi e semplici, perciò detti da lui veluti na-
turæ rudimentum, Litia facere condiscentis. Se aveste
veduto il Campidoglio di Roma, e in esso il tempio di
Giove, ricco delle spoglie di tutto il mondo, l avreste
voi riconosciuto per quello che una volta fu quando
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Juppiter angusta vix totus stabat in æde,
Inque Jovis dextra fictile fulmen erat?
Da questo seme negletto nacque quella gran pianta di
tante palme, quanti trionfi vile il Campidoglio; con la
legge commune a tutte le cose: che prima sieno fonti di
povera origine e di bassi principj, indi ruscelli, poi fiu-
mi, e all ultimo mare.
Che se ben è vero, che talvolta, giusta l antico pro-
verbio, i fiumi reali hanno navigabili anche le fonti; e chi
è per riuscire in qualche professione di Lettere oltre, a
termini dell ordinario eccellente, straordinarj segni ne
dà fin da principio, come Ercole
Monstra superavit prius quam nosse posset,
strozzando bambiano nella culla i dragoni, e con ciò
preludendo all Idra, e dando il primo saggio delle sue
forze; questo però, come cosa di pochi, non fa legge per
tutti, nè tanto pruova la facilità quanto la felicità delle
prime operazioni, e anzi l abilità dell ingegno che l uso
dell arte.
Non si lasci dunque l impresa, per malagevoli che
riescano i principj, nè s abbandoni Proteo, se avvien ch
egli fugga da primi nodi che gli si mettono. Non voglia-
mo fiarla da maestri prima d essere scolari: e ricordian-
ci, che i Principianti fanno assai, se cominciano. Eccovi
per consolazione alcuni versi del Re de Poeti, coll ap-
plicazione a vostro proposito:
Qualis spelunca subito commota Columba,
Cui domus et dulces latebroso in pumice nidi,
Fertur in arva volans, plausumque exterrita pennis
Dat tecto ingentem; mox aere lapsa quieto,
Radit iter liquidum, celeres neque commovet alas;
tale appunto sarà il vostro ingegno. Ora gli bisogna
batter fortemente l ali, e inviarsi al volo con molta fati-
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ca: non andrà guari, che senza scuotere ala nè batter
penna darà felicissimi voli; e ciò sarà, quando, acquista-
to l uso di comporre, per fare quanto vorrete, basterà
che vogliate e sarà fatto.
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Che debbono, usarsi varj Stili, sì come varia è la materia del
Discorso.
Convien ora mostrare, quale Stile, qual Forma, o, co-
me Ermoggene la chiama, Idea di dire, usar si debba da
chi compone. Intorno a che, è da sapere, che nella ma-
niera di spiegare qualunque, cosa si vuole, ciò che più è
degno da osservarsi, tutto alla Quantità e alla Qualità si
riduce. La prima dalla Lunghezza o Brevità si misura; la
seconda dalla Efficacia o Debolezza del dire. E perchè
nell uno e nell altro di questi due generi v ha due ter-
mini estremi e  l mezzo fra essi; quindi è, che sotto la
Quantità cade il Lunghissimo, il Mezzano, il Brevissimo;
sotto la Qualità, il Sublime, il Mezzano, e l Infimo. I tre
primi hanno avuti Popoli, che di essi si servieno: del
Lunghissimo gli Asiani, del Brevissimo gli Spartani, del
Mezzano gli Attici. I tre secondi hanno avuti Oratori,
che, giusta la fede che ne fa M. Tullio, sono stati in
ognuna di quelle forme di dire eccellenti.
È il puro Asiatico diffusissimo; e, parli di ciò che si
vuole, ha per costume di dire, come quell Albuzio rife-
rito da Seneca. Non quidquid debet, sed quidquid pote-
st. Stile carnefice degli orecchi, come Scaligero lo no-
minò, che in un mare di parole non ha una bricia di sale.
Nullo enim certo pondere innixus, verbis humidis et la-
psantibus diffluit. Cujus orationem bene existimatum
est in ore nasci, non in pectore. Onde miracolo fia (ciò
che Aristotile disse ad un importuno ciarlone), che si
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truovi chi abbia piedi per potersene andare, e abbia
orecchi per volerlo sentire. Avete osservate le prime let-
tere de Privilegj scritti in pergameno? Quanti tratti di
penna, quante cifre, quanti scherzi in arabesco concor-
rono a formarle? e poi in fine ella non è più che un A,
una B, una lettera come l altre che semplicemente si
formano. Questa è l imagine vera dello Stile Asiano. In
un mondo di parole non vi dice più di quello, che altri vi
direbbe in un solo periodo.
Il puro Laconico usa anzi geroglifici che parole; e in
esso, come dissi delle pitture di Parrasio, plus intelligi-
tur quam, pingatur. Studet enim, ut paucissimis verbis
plurimas res comprehendat; ciò che di Tucidide disse l
Alicarnasseo. Tre suoi gran periodi entrano in una linea.
Tre linee sono poco meno d una compiuta orazione.
Ogni parola sua, anzi quasi ogni sillaba, è, quali Demo-
stena diceva essere i detti di Focione un colpo di scure.
Il Mezzano fra questi due, che con le elettro d amen-
due si tempera e si compone, è l Attico, che senza l insi-
pidezza dell Asiano, senza l oscurità del Laconico, ha la
chiarezza di quello e l efficacia di questo; e, come in un
corpo ben formato, nè tutto è nervo nè tutto è carne, ma
l uno v ha la sua parte per la forza, l altra v ha la sua per
la bellezza. A lui chi toglie una parola, toglie non come a
Lisia de sententia, ma come a Platone de elegantia. Ha
quello, che Seneca controversista chiamò pugnatorum
mucronem (di che manca l Asiatico); ma l usa con altra [ Pobierz całość w formacie PDF ]
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